Alchimia e montagne

donna nelle montagne

Ci sono campi visivi che non lasciano scampo alla bellezza. 

Al sorgere pallido del sole la montagna diventa scura densamente come a ricordare la sua forma, poi s’illumina d’improvviso e smette di essere spettacolare. In quella frazione il cielo si infiamma tra le stelle altissime e le nuvole, tenui vapori che danzano allungate nelle spirali del vento, indicano una barca che sagoma l’orizzonte, dando un senso all’aspetto del creato.

“Prendi quel ceppo per favore”. Soffiano forte sotto la brace per far prendere il fuoco. “Se sale la temperatura possiamo fare il caffè. Hai dormito questa notte? Ad un certo punto ti ho sentita muovere le gambe con forza!”. Dopo un giorno di cammino i due si erano fermati in un bivacco. Bassa quota ma pur sempre mille metri sul livello del mare. Si poteva sentire il sale salire i pendii spinto dai sospiri dello Scirocco, coprire di tintinnii e gocce d’acqua l’aria un tempo secca del meridione orientale. “Formaggio e pane, una mela a testa e se dovessimo avere bisogno, ho un pezzo di carne essiccata. Appena il fuoco è pronto andiamo a riempire le borracce alla fonte là sotto, deve trovarsi a quindici minuti di cammino verso valle”. 

Camminando il giorno precedente, avevano parlato di un fatto che li affascinava tremendamente. Un’antica pergamena fu trovata sotterrata all’interno di una grotta di quelle zone, in un sito pre-romanico nelle montagne. Studi antropologici e archeologici parlano di una comunità aborigena che viveva sopra le acque, nelle montagne appenniniche pre-alpine. Ab-orbis, popoli sopraelevati che parlavano la lingua del divino Giano, essere transitorio del mondo antico su quello moderno. La pergamena era fatta con pelli di animali e da uno strato inorganico di minerali come lo zolfo, il sodio e il calcio, tutti provenienti dai sedimenti che si formano dalle deposizioni dei sali marini nelle acque. Coperta di detriti e guano di pipistrello, rimase nella grotta per almeno 2 millenni. 

Petrov, penso che il tempo non renda giustizia alle civiltà. Per come siamo istruiti in questa epoca, tutte le cose avvenute sono una parabola statistica di dati e informazioni ben precise. Mi pare che in questo modo non si possa vedere molto di quel che è, ma giudicare quel che è stato”, un falco attraversa il cielo lento, vola immobile nell’aria tagliata a fette; “Cosa pensi ne sarà del tempo domani Anna?”, chiedeva Petrov assorto; “Il tempo non esisterà più come lo conosciamo ora. Ne cambieremo aspetto narrativo, non tanto per funzionalità, poichè essa è ormai data per conosciuta come elemento intrinseco della realtà fisica, piuttosto rilegheremo lo spazio temporale alla oggettivazione del dato materiale. Il tempo è mistificato dal ritmo dell’individualità, in qualche modo liberato dalle leggi che lo determinano. Domani il tempo sarà più libero dalla sua natura concettuale e meno soggetto alla speculazione meccanicistica ed evoluzionistica”.

La pergamena conteneva una singola frase:

Per quanto una creatura si componga nella sua naturale essenza, attraverso la completezza del suo corpo, continuerà a rappresentare il mistero di cui è portatrice.

Furono trenta i minuti per arrivare alla fonte d’acqua. Il panorama, i discorsi e il loro affiatamento rompeva ogni logica. “Riempi la borraccia fino al tappo, ma prima bevi per togliere la sete”. L’acqua scorreva dalle labbra di Anna bagnandole il petto e la camicia di cotone marrone. Aveva il corpo nudo e un solo bottone reggeva il suo seno liscio. Un brivido salì la schiena di Petrov nel vederla animale, odorare di terra e arbusti, fumo nelle mani e occhi vivi nel buio. Un lampo di fuoco accese il suo grembo, gli intestini si ritiravano nel pavimento delle sue ossa. L’amore lo chiamava e gli gonfiava i muscoli dell’eros fino a scoppiare, distruggere quella quiete rumorosa del deserto attorno a loro. L’acqua bagnava la bocca di Anna, pronta lo guardava dentro, lo aspettava nudo dai suoi desideri, libero dalle sue paure e manie. “Quanto corre il tuo cuore Petrov? Mi puoi raggiungere? Vieni! Prendimi per una volta tutta intera. Mangiami le gambe, mordimi il petto, sentimi come sono fatta nelle ossa, sbattimi fino a svegliarmi!”. I due si erano amati scontrandosi come divinità, fieri e bellissimi nelle loro fattezze e imperfezioni.

“Anna, il mondo è severo. Ma non per questo si è condotti nella severità come fine ultimo della vita. Esso non ci è permesso di definirlo come un fatto, ma di manifestarlo come atto. La severità è una condizione di durevolezza del contorno delle cose, del rapporto tra vita e morte che interessa una sfumatura dell’umanità. Sebbene sia presente, essa contiene le condizioni per abolire la propria definizione e scivolare nella polarità assoluta dell’indeterminato. Questa è la funzione logica, seppur illogica, del sorriso, che annulla e conferma la totalità delle cose, distrugge la forma e permette la ricomposizione dell’universo individuale. Credo si possa lavorare sulla vera magia della distruzione, che è intimamente legata alla creazione. Distruggere interamente vuole dire rigenerare, come fa il ciclo naturale della stagionalità. Cambia forma portando continuità.”


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