La primavera di Anna

anna di schiena

“Soffia lieve il vento in collina. Quasi mai sento di poter estrarne le radici, che tenendo il terreno compatto, mi ricordano che esso sia, seppur arido, nutrimento. Tra le genti del paese è facile essere qualcuno. La strada è di tutti e di nessuno, come la responsabilità. In collina il vento soffia, si snoda tra i percorsi forestali abbandonati, tra vecchie sorgenti e costruzioni rurali. Mi domando spesso perchè ci si aspetti qualcosa dai luoghi. Forse non è poi così sbagliato credere che essi parlino di noi. E’ avventato presumere siano lì inermi come cadaveri, blocchi di storia ammuffita. Eppure il crocevia è assai frequente, di anime assenti, altrove, costantemente lontane. Mi chiedo che senso abbia il miraggio. E’ come se essere organismi viventi non fosse abbastanza per avvicinarci alle cose.”

Una campana interruppe il dialogo di Anna. Era mezzogiorno. La pasta fumante brontolava la pentola. Pietanze, bicchieri, la televisione, tutto suonava diretto dal sorgere del pranzo. A13 anni d’estate in un paese come quello, un adolescente gode del tempo vuoto della campagna. Sono gli anni dell’industria, delle telecomunicazioni; i campi, i boschi, gli alberi e gli uccelli sono introiezioni dei racconti e proiezioni di un animale segreto dei sogni. Nel salotto di casa ampio e alto si erge il trono della convivialità. Ad un tavolo di legno massello, le cui gambe sinuose e sicure come quelle di un cavallo, scuro, dove neppure le tarme trovano l’ardore di divorarlo, siede assorta una vecchia donna. La nonna di Anna è viva. Vegeta nella sua allegria, nei denti consumati dalle emozioni digrignate. E’ depressa, usata come donna da quel patriarcato ingenuo e violento degli uomini del 900′. Sicura di non sbagliare si prostra come una lavandaia, piena d’amore per l’umanità, costretta a non rendersi conto che la campagna abbaia, ed il suo eco rimbomba nelle strette valli d’Appennino.

brown brick building
Spaccati d’amore

Pasta al pesto e patate, fagiolini e un filo d’olio d’oliva. Anna deglutisce il piacere dell’amore di sua nonna, che è oggi trenetta, domani pansoto. E’ estate solo per lei. I suoi genitori lavorano i propri pensieri ed impegni, vagano l’età adulta come bambini dispersi, si smarriscono e si ritrovano nell’alternarsi dei loro stati d’animo. Scrive di sè, sogna, danza, scopre il proprio corpo e gioca con le novità della vita. Un adolescente che nasce in campagna è stato un bambino che del tempo ha vissuto il mutamento, più di ogni altro. La millenaria ciclicità delle stagioni, le colture e le tradizioni, le festività e i calendari lunari sono immagini parlanti dei paesi. Riverbera nell’aria l’agire delle cose e si trasforma in sensazioni dalle forme del paesaggio.

Anna ha deciso che non si farà carico della storia come farebbero i suoi antenati, ne è al di fuori. Capisce che lei, bambina del nuovo mondo, è un vecchio burattino di una sceneggiatura ormai terminata. Vede negli occhi dei passanti un furore invadente, da cui come per effetto di una formula matematica sgorga il passato. “L’estate è il momento peggiore per cambiare” si dice, “in questa stagione tutto è già accaduto e bisogna prepararsi per l’inverno”. Questo Anna lo ha imparato dalla natura, dalla campagna, che insegna il tempo dello spazio. Ecco perchè sogna quando è in città. Vive nella frattura che la cultura ha recato a se stessa. Vive nel dispiegarsi del nuovo tempo. Vive, per così dire, nell’immagine del cambiamento.

E’ un’estate particolare per lei. Le scuole superiori sono vicine e ha scelto un istituto d’arte. Vuole diventare una grande pittrice di storie. Ancora però, i crocevia del paese la pervadono di ogni sensazione, e si chiede eccitata come sarà vivere i nuovi compagni, le nuove materie e abitudini. Vuole più di ogni altra cosa innamorarsi. Non sa di che cosa, neppure come, ma lo desidera ardentemente. In camera sua, durante i suoi sogni, si risveglia una passione a cui nome non vuol dare. Le capita di trascriverne qualche parola, di dipingere qualche ricordo della notte, di cantare le forme del suo ignoto.

Ci sono poche cose che Anna desidera dal suo futuro, sebbene tutto il mondo attorno a lei pretenda ne abbia un’idea precisa. Le pare giusto, a volte, dare di sè una spiegazione, rendersi qualcosa agli occhi di chi vuole sapere. Ma non sempre le riesce. Così che ha deciso che durante questa ultima estate fanciulla diventerà ogni cosa. Un giorno leone, un altro uomo, ancora, una ligia religiosa, poi una sportiva, domani una rivoluzionaria..

Si diverte a correre il prato come fa con il tapis roulant di sua madre. Si sveste lentamente delle scarpe estive, aperte e colorate, per poggiare il piede sul terreno. Si scorda per un pò di essere sola, mentre si accorge d’un tratto di essere morta. Capisce che ad aver lasciato questa vita non è lei, con quel corpicino soave e snello, dal seno piccolo e la vita stretta, il naso dolce e gli occhi buoni, bensì tutto quello che ha creduto di essere.

Il tempo si ferma. Le ali degli uccelli tagliano l’aria. Le libellule spariscono dall’erba. In piedi affianco al corpo, si ergono perenni le colonne del nulla. Anna le guarda. Si guarda a terra, attonita dalla pienezza di quest’attimo. Vede con chiarezza che quella condizione di immobilità nel corpo le aveva donato la vita. Tutte quelle vite erano passate da lì, e lei si ritrovava ancora, come ogni volta lì. Non sapeva tornare al linguaggio che conosceva, era impreparata a ripetere. Si capiva da sola, mentre dagli occhi dei passanti ricordava di poter vivere con ardore.

Ora che è morta non può più essere nessuno Anna, se non se stessa. Ma a questo non era abituata. Nessuno glielo aveva insegnato, e nessuno a parte Petrov lo aveva capito.

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4 risposte a “La primavera di Anna”

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